CONDANNA EX ART. 94 C.P.C. DEL LEGALE RAPPRESENTANTE DELLA RECLAMANTE PER ESCLUDERE L’IMPUNITÀ PROCESSUALE DEI SOGGETTI CHE, AVVALENDOSI DI UNO SCHERMO GIURIDICO ORMAI VACUO, AGISCONO IN GIUDIZIO CON DOLO O COLPA GRAVE SAPENDO DI NON AVERE PiU’ NULLA DA PERDERE – CDA FIRENZE, 24.05.2023, N. 1125 (R.G. 338/2023)
Nella sentenza in commento, la Corte d’Appello di Firenze (CDA Firenze, 24.05.2023, n. 1125), all’esito di un giudizio di reclamo ex art. 51 CCII avverso una sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, ha emesso un’interessante sentenza in punto di condanna alle spese di giudizio e al risarcimento di cui all’art. 96 c.p.c.
Nello specifico, la Corte d’Appello, in accoglimento di un’espressa domanda della Curatela, ha confermato che, essendo la reclamante ormai sprovvista di un patrimonio, in assenza di una condanna del relativo legale rappresentante al pagamento delle spese di lite, si verificherebbe una situazione tale per cui la società “potrebbe permettersi di compiere scelte processuali temerarie (…) senza andare incontro a conseguenze patrimoniali ulteriori a quelle già subite”.
La norma di riferimento è l’art. 94 c.p.c.,in virtù del quale “in generale coloro che rappresentano o assistono la parte in giudizio possono essere condannati personalmente, per motivi gravi che il giudice deve specificare nella sentenza, alle spese dell’intero processo o di singoli atti, anche in solido con la parte rappresentata o assistita”.
Nel caso di specie, la Corte ha sottolineato che, “mentre la condizione d’insolvenza dovrebbe responsabilizzare massimamente chi agisce in giudizio, il reclamante contro il proprio fallimento finisce per essere praticamente irresponsabile verso i contraddittori, privandoli di fatto di ogni garanzia patrimoniale” e che “la curatela ed i creditori istanti che hanno resistito vittoriosamente al reclamo non hanno invero alcuna opportunità pratica di recuperare dalla fallita le spese di lite sopportate, se non eventualmente sottraendole dall’attivo destinato ai riparti”.
La Corte ha, dunque, rilevato che “tale situazione, in quanto si associa alla rilevata temerarietà della lite, integra a parere di questa Corte i gravi motivi previsti dall’art. 94 c.p.c. per addebitare personalmente le spese processuali al rappresentante legale della società reclamante”, sottolineando che con “la disposizione richiamata, infatti, il legislatore ha voluto escludere l’impunità processuale dei soggetti che, avvalendosi di uno schermo giuridico ormai vacuo, agiscono in giudizio con dolo o colpa grave sapendo di non avere più nulla da perdere”. Conseguentemente, il Giudice di secondo grado, “per l’effetto, ravvisandosi in forza delle ragioni esposte mala fede, o quanto meno colpa grave, del rappresentante legale della fallita nel proporre il reclamo sulla base di tesi giuridiche azzardate, incongrue, fuorvianti e smaccatamente contrarie ai dettami dell’ordinamento”, ha deciso che “egli va personalmente condannato ex art. 94 c.p.c. in solido con la società rappresentata a rifondere le spese sopportate dalle controparti, che, tenuto conto della natura e del valore indeterminabile della causa”.