Casi e Giurisprudenza - 2 Settembre 2021

RESPONSABILITÀ AGGRAVATA: IL TRIBUNALE DI PRATO CHIARISCE I REQUISITI PER LA CONDANNA AI SENSI DEL TERZO COMMA DELL’ART. 96 C.P.C.

LA RESPONSABILITÀ AGGRAVATA EX ART. 96, C. 3, C.P.C. NON RICHIEDE LA PROVA DEL DANNO, MA LA MALA FEDE O COLPA GRAVE DEL SOCCOMBENTE – TRIB. PRATO 09.08.2021 (R.G. 1620/2018)

Con una recentissima sentenza (Trib. Prato 09.08.2021, R.G. 1620/2018testo completo) il Tribunale di Prato (Giudice Dott.ssa Sara Fioroni) ha fatto chiarezza in merito agli elementi utili per la condanna del soggetto che soccombe in giudizio ai sensi del terzo comma dell’art. 96 c.p.c. a norma del quale “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte di una somma equitativamente determinata”.

Secondo la pronuncia in esame, “la responsabilità aggravata prevista dal terzo comma, a differenza di quella di cui ai primi due commi dell’art. 96 c.p.c., non richiede la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente”, specificando che queste sussistono “nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate”.

Peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione (cfr. ex plurimis: Cass., Sez. Unite, Sentenza n. 9912 del 20/04/2018).”

Nel caso di specie, avente ad oggetto l’opposizione ad un decreto ingiuntivo, il Giudice ha condannato la convenuta opposta al pagamento di una somma pari al 75% delle spese processuali in favore dell’opponente, deducendo la temerarietà e la pretestuosità dell’azione monitoria intrapresa sulla base, oltre che dell’inconsistenza “giuridico-fattuale” della documentazione prodotta, della mancata costituzione della soccombente nel sub-procedimento e dalla resistenza nel giudizio oggetto della sentenza in commento, nonostante l’intervenuto pagamento da parte della società attrice.

Questa pronuncia indica con chiarezza quelli che sono i presupposti affinché si possa, anche d’ufficio, giungere ad una condanna della parte soccombente ex art. 96, c. 3, c.p.c. ovvero la mala fede o la colpa grave di quest’ultima, a prescindere dalla prova del danno.

Difatti, secondo il Tribunale di Prato, è da considerarsi meritevole di sanzione, non tanto il pregiudizio arrecato alla controparte, ma “l’abuso dello strumento processuale in sé”.

Condividi