Casi e Giurisprudenza - 18 Aprile 2019

“Amministratore di fatto”: azione di responsabilità tra forma e sostanza

di Edoardo Molina

Al fallimento di una società di capitali può conseguire, quando i membri degli organi gestori e/o di controllo non abbiano rispettato i doveri che la legge o l’atto costitutivo impongono, l’azione di responsabilità nei confronti degli organi sociali per i danni a questa cagionati.

Ai sensi dell’articolo 146, c. 2, Legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n.267) “sono esercitate dal curatore previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori: a) le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori; b) l’azione di responsabilità contro i soci della società a responsabilità limitata, nei casi previsti dall’articolo 2476, comma settimo, del codice civile”.

Non sempre, però, la gestione della società è svolta, in concreto, da coloro che siano stati formalmente nominati amministratori.

Può accadere che, in vece o al fianco degli amministratori “di diritto”, la funzione gestoria sia effettivamente posta in essere da un altro soggetto che, pur privo di un’investitura formale, eserciti sotto il profilo sostanziale un’influenza che va oltre la titolarità delle funzioni, con poteri analoghi se non addirittura superiori a quelli spettanti agli amministratori di diritto (a titolo meramente esemplificativo, impartendo direttive, condizionando le scelte operative, partecipando sistematicamente alle riunioni del consiglio di amministrazione).

Si parla, a riguardo, di amministratore “di fatto”.

La giurisprudenza fa pendere, nel caso di specie, l’ago della bilancia dalla parte della sostanza che, pertanto, supera i limiti della forma.

È, infatti, assoggettabile all’azione di responsabilità, ai sensi degli art. 146 L.F., anche l’amministratore di fatto, identificabile in colui che abbia effettivamente gestito la società in assenza di una nomina in forma legale oppure quando l’investitura sia ricollegabile al contegno dei soci, in modo da determinare l’inserimento di tale organo amministrativo nella funzione, con conseguente assunzione degli obblighi connessi all’ufficio assunto (Cass. civ. 21567/2017).

Addirittura, facendo leva su un’interpretazione di stampo “qualitativo”, si può identificare come gestore di una società colui che, sebbene formalmente estraneo al ruolo dirigenziale, divenga in concreto “centro di potere decisionale”, in quanto capace di compiere anche un solo atto che, per sua natura e consistenza economica, risulti in grado di soddisfare, da solo, gli estremi di un’amministrazione di fatto (Cass. civ. n. 2952/2015).

Naturalmente, preme ricordare, com’è stato più volte sottolineato dalla giurisprudenza, che la presenza di un amministrazione “di fatto” non costituisce un’esimente di responsabilità per l’amministratore “di diritto” con riferimento agli atti di mala gestio compiuti dall’amministratore di fatto (Tribunale di Milano, Sezione delle Imprese, 29 novembre 2012).

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